Nel corso della storia dell’animazione giapponese, che ha realizzato in oltre un secolo numerose produzioni entrate nella memoria collettiva, sono stati numerosi i personaggi maschili, spesso malvagi, ad essere ritratti con i capelli biondi, ma per quale ragione?
Gli anni ’70
Uno dei primi esempi che vale la pena citare è Ryō di Devilman, il personaggio tratto da “Devilman” di Go Nagai, pubblicato nel 1973 in Giappone e subito adattato in serie anime.
Nell’opera, Ryō Asuka è il miglior amico di Akira Fudo, il protagonista, che rivela a quest’ultimo l’esistenza dei demoni e lo aiuta a diventare l’unico baluardo dell’umanità, Devilman. In realtà Ryō è Satana, l’angelo caduto votato a cancellare gli esseri umani, colpevoli di aver rovinato il pianeta Terra, che tuttavia si innamora di Akira e decide dunque di farsi ipnotizzare e dimenticare tutto, salvo poi recuperare la memoria e dare inizio alla lotta finale contro i Devilman.
Pur essendo un Satana dalla caratterizzazione estremamente peculiare (non interamente malvagio e votato solo alla distruzione oltre che di bell’aspetto), il personaggio è effettivamente l’incarnazione del male, che decide di mentire ad Akira, il cui scopo ultimo appare essere, senza alcun dubbio, malvagio.
Nel 1979 il mondo dei robot viene per sempre travolto con la prima messa in onda di “Mobile Suit Gundam”, il primo di una lunga serie di “Real Robot” che necessitano di manutenzione, finiscono le munizioni e si muovono sfruttando in parte i principi verosimili della fisica e della meccanica.
Nel corso dell’opera, il principale antagonista è Char Aznable, alias di Casval Rem Deikun, un ufficiale del Principato di Zeon la cui abilità nel manovrare l’iconico Zaku personalizzato gli è valso l’appellativo di “Cometa Rossa”.
Il personaggio, all’apparenza un soldato che lotta fra le fila di Zeon, cova in realtà un piano di vendetta contro gli Zabi, colpevoli di aver ucciso il padre e di aver assunto il potere. Nel corso della serie, Char si rivela un freddo calcolatore e manipolatore, facendosi amico il giovane ed inesperto Garma Zabi, salvo poi condurlo a morte certa per mano della Base Bianca.
In “Mobile Suit Gundam: Le Origini”, manga che espande ed approfondisce la serie animata, viene raccontata l’ascesa al potere del giovane Casval, che pur di vendicarsi sacrifica prima il vero Char Aznable con un abile scambio di identità e poi fa uccidere un suo commilitone, che aveva scoperto la sua vera identità.
Char si presenta come personaggio carismatico ed ammaliante, ma come sempre l’apparenza cela una persona che non si pone scrupoli per raggiungere il proprio obiettivo ad ogni costo e che nel corso delle diverse serie dell’opera, adopera diversi pseudonimi celando di continuo la propria identità.
Già negli anni ’50 in Giappone si era sviluppato un forte sentimento anti-americano, culminato nel decennio successivo con diversi movimenti apertamente contrari agli U.S.A. che avevano causato la sconfitta del paese durante la Seconda Guerra Mondiale.
Nonostante il grande sostegno fornito dagli Stati Uniti, che ha permesso al paese di riprendersi in fretta e diventare una delle maggiori potenze economiche del pianeta, accelerando i processi di riforme e modernizzando il paese, fu conservato per diverso tempo un sentimento che vedeva di cattivo occhio gli americani, spesso identificati proprio per avere i capelli biondi e gli occhi azzurri, tratti somatici del tutto assenti in Giappone.
Gli Anni ’80
Per quanto riguarda l’animazione, gli anni ’80 sono stati un periodo di grande transizione, scoperte ed innovazioni che hanno ridefinito il panorama del media anime/manga, che ormai iniziava a non essere più soltanto un prodotto per uso esclusivo giapponese, ma anche ad essere scoperto e proposto in altri paesi che si avvicendavano per aggiudicarsi i diritti.
In questo contesto, fra le opere che più hanno lasciato il segno vi è certamente “Hokuto no Ken” (Ken Il Guerriero in Italia) che ad oggi arriva a festeggiare il suo 40° Anniversario.
Il manga, realizzato da Tetsuo Hara e Buronson, inizia come un’opera incentrata su un’antica arte marziale, l’Hokuto Shinken, ed il successore di tale micidiale tecnica, Kenshiro, che vaga per il mondo ormai stravolto a seguito della guerra nucleare che ha spazzato via la civiltà.
La nemesi di Kenshiro è Shin, compagno di addestramento e maestro della Tecnica dell’Aquila Solitaria di Nanto (scuola rivale dell’Hokuto), che in seguito allo stravolgimento che ha subito il mondo cede alla tentazione e rapisce Julia, la fidanzata di Ken, riducendo in fin di vita l’amico di un tempo.
Ken, sopravissuto, impara cosa siano la rabbia ed il dolore, temprandosi nello spirito e mettendo l’Hokuto Shinken al servizio dei più deboli durante la sua ricerca per ritrovare l’amata ed affrontare Shin.
Per quanto riguarda il design, Shin è raffigurato nell’anime come un uomo dai lunghi capelli biondi (in principio nel manga dovevano essere azzurri), un fisico scultoreo ed un gusto raffinato per la bellezza e le mondanità, ormai merce rara, spesso disegnato con indosso abiti pregiati.
Considerato che al principio i due personaggi erano stati concepiti per essere allievi dello stesso maestro, non stupisce come Shin nell’aspetto oltre che nel carattere risulti l’opposto di Kenshiro, il quale per primo ha compreso di vivere in un’epoca in cui i forti prendono ciò che vogliono e prosperano, mentre i deboli sono condannati a servire o morire.
Nel 1987, Hirohiko Araki dà vita ad una delle opere più famose di tutti i tempi tutt’ora in corso, Le Bizzarre Avventure di JoJo.
Nella prima parte denominata “Phantom Blood” viene introdotto il personaggio di Dio Brando, crudele, egocentrico ed estremamente narcisista che è stato adottato dalla facoltosa famiglia Joestar per un debito di riconoscenza.
Nonostante sia stato accolto come un figlio, Dio mira ad impadronirsi delle ricchezze della famiglia, mettendo in cattiva luce il coetaneo Jonathan e cercando di uccidere il padre adottivo, salvo poi essere scoperto.
Messo alle strette, Dio ricorre ad una misteriosa maschera di pietra che lo tramuta in un vampiro e, nonostante le ardue prove sostenute da Jonathan per fermarlo a costo della vita, egli sopravvive per poi ricomparire nella terza parte “Stardust Crusaders” nuovamente come l’antagonista principale.
Durante gli anni ’80 iniziò una forte inversione di tendenza da parte delle nuove generazioni in Giappone, che accoglievano con favore le novità che arrivavano dall’occidente ed in particolare dall’America.
Costretti infatti all’interno di una società particolarmente rigida per quanto riguarda le convenzioni sociali e le regole, la voglia di ribellarsi e scatenarsi dei più giovani andava di pari passo con la diffusione di nuovi costumi e mode, complice anche la musica.
Se inizialmente gli uomini troppo muscolosi erano considerati poco virili ed affascinanti, con l’arrivo di film americani cult e la diffusione sempre maggiore del Wrestling (importato nel paese dopo la guerra) i canoni di bellezza cominciarono a mutare, riflettendo tali mutamenti anche nelle opere che venivano realizzate.
Va notato inoltre come il rapporto fra Jonathan e Dio e quello fra Kenshiro e Shin è simile: Dio è invidioso della vita agiata condotta da Jonathan così come Shin è invidioso dell’amore che Julia prova per Kenshiro.
Parallelamente, i due rispettivi protagonisti hanno intrapreso un percorso di maturazione simile, evolvendosi e diventando persone capaci di lottare (ricordiamo che entrambe le opere, seppur con alcuni anni di distanza, sono state rispettivamente pubblicate sulla medesima rivista, Weekly Shonen Jump).
Gli Anni ’90
Da molti il periodo degli anni ’90 è considerato fra i migliori in assoluto nel campo dell’animazione, grazie al perfezionamento delle tecniche di animazione 2d ed all’esperienza maturata nel tempo che ancora oggi viene apprezzata e stimata.
Durante quegli anni, sono numerose le produzioni di rilievo, una fra tutte “Dragon Ball Z” di Akira Toriyama, opera ancora oggi amatissima in tutto il mondo e che non accenna a fermarsi fra nuove serie animate, videogiochi e merchandise.
Sicuramente una delle scene più iconiche e memorabili di tutte resta la prima trasformazione di Son Goku in Super Saiyan nel suo scontro mortale con Frieza, avvenuta dopo che quest’ultimo aveva ucciso Vegeta, Piccolo (che è in realtà sopravvissuto) e l’amico di infanzia Krillin.
Dopo diversi anni, fu svelato in realtà che fu scelta la colorazione bionda per Goku per ragioni di semplificazione; dato che i ritmi di un mangaka sono molto serrati, lasciare non colorati i capelli di Goku permetteva all’autore di potersi concentrare su altro come le scene di lotta e questo, dato che i manga sono pubblicati in bianco e nero, portò alla colorazione che oggi conosciamo.
Ovviamente, il cambio di colore di capelli ed occhi non è solo apparenza, ma sottolinea la trasformazione di Goku (e degli altri Saiyan in seguito) a seguito di una grande rabbia o incredibile frustrazione che viene incanalata per combattere.
Un altro esempio che vogliamo proporre è “Trigun”, il manga creato da Yasuhiro Nightow nel 1995 ed adattata in serie anime nel 1997 che segue le vicende di Vash The Stampede, meglio noto come “Il Tifone Umanoide”.
La storia segue le vicende di Vash, un pistolero biondo che è un convinto pacifista, che adopera sempre le sue incredibili doti per risolvere i conflitti e gli scontri in maniera non violenta, anche se dove va lui spesso succedono incredibili cataclismi di cui spesso è accusato.
In realtà Vash è un Plant, una forma di vita artificiale avanzata inventata dagli esseri umani per la produzione di energia ed alimentazione, arrivato sul pianeta dove si svolgono le vicende a seguito dello schianto delle astronavi causato dal fratello gemello Knives, deciso a cancellare la razza umana capace solo di inquinare, guerreggiare e depredare.
I due, medianti le loro pistole modificate, sono capaci di utilizzare il potentissimo “Angel Arm” con cui riescono a sprigionare una potentissima energia distruttrice, adoperata da Vash unicamente per contrastare quella del fratello.
Per comprendere la ragione per cui ancora in quegli anni il colore biondo veniva ritenuto particolare ed inusuale, idoneo dunque per contraddistinguere dei personaggi, bisogna parlare del fenomeno dei “bōsōzoku”.
Traducibile come “tribù della velocità sfrenata” si tratta di un fenomeno giapponese che è iniziato nel secondo dopoguerra ma che ha avuto il suo apice proprio negli anni ’90.
Continuando a cavalcare quella voglia di libertà, le giovani generazioni trovarono nelle moto un nuovo modo di vivere creando delle proprie regole, formando bande e distinguendosi dalle persone comuni; quindi grazie alle moto veniva sfogata dai giovani la voglia di libertà le quali divennero, ben presto, il simbolo di un nuovo stile, assieme all’utilizzo di abiti inconsueti e vistosi e l’abitudine di tingersi i capelli.
Il fenomeno fu tale che si innestò rapidamente l’idea che avere i capelli tinti fosse uguale all’essere dei teppisti, frutto di una cultura del diverso dove se non si è omologati alla società ed ai suoi rigidi dettami, si viene etichettati ed ostracizzati, al punto che persino le scuole sino a poco tempo fa avevano delle apposite norme che vietavano particolari modi di vestirsi e che pretendevano, nel caso di studenti con capelli non neri, di tingerli o di dimostrare che quella tinta fosse il loro colore naturale.
In tal senso, dunque, possiamo vedere come il voler evidenziare alcuni personaggi con quel colore di capelli indichi la necessità di far emergere qualcosa come fuori dall’ordinario, che in qualche modo ha origine da fuori e che in una certa misura non è vista di buon occhio e che anzi, spesso è apertamente contrastata.
La stessa Chichi, moglie di Goku e madre di Gohan e Goten, si riferisce spesso ai Super Saiyan come “delinquenti” o “membri di una gang” temendo che i figli possano prendere delle cattive strade e frequentare le persone sbagliate.
Per quanto riguarda Vash e Knives, si tratta di due facce della stessa medaglia in quanto gemelli, che riflettono la duplice natura che animava i movimenti dei bōsōzoku: da un lato, un semplice desiderio di libertà espresso pacificamente e dall’altro uno spirito ribelle e distruttivo che manifestava una rabbia sopita.
Una menzione speciale va per G.T.O. “Great Teacher Onizuka”, che trae ispirazione a piene mani dal fenomeno delle bande di teppisti riuscendo a trovare, però, in questo caso, un apporto positivo.
Il protagonista, Eikichi Onizuka, ex-membro di una banda di motociclisti, è visto di cattivo occhio dalla maggior parte del corpo docenti per il suo modo di essere, poco attinente con le rigide regole previste dal sistema scolastico ed, infatti, sin dall’inizio, certi del suo fallimento, gli viene affidato l’insegnamento della peggiore classe dell’istituto Seirin.
Nonostante sia un insegnante, Onizuka fuma, beve, ha un debole per le studentesse minorenni e spesso dà scandalo di sé, offrendo numerose occasioni per essere deriso.
Questo suo essere anticonformista, però, cela una forza incredibile, quella di non voler nascondere chi è davvero, spingendo anche i suoi stessi studenti, alla fine, a fare lo stesso cercando di indirizzarli nella giusta direzione.
Contro ogni previsione, Onizuka con il suo agire fuori da ogni schema riesce a comprendere ed ad interagire con i ragazzi, insegnando loro (ma anche al preside) preziose lezioni di vita, affrontando tematiche serie come il bullismo o l’autolesionismo, riuscendo infine a ottenere dei buoni risultati con la classe affidatagli.
Il tema della diversità, osteggiata e vista come elemento eversivo, può essere applicato anche al mestiere stesso di mangaka, nel quale l’atto stesso di disegnare è percepito come una forma di libertà e di evasione dalla realtà; per molto tempo, infatti, questo mestiere è stato visto di cattivo occhio in diverse famiglie tradizionali, nonostante si tratti di una professione di tutto rispetto che richiede molto lavoro e sacrificio.
Amante da sempre del mondo giapponese e di tutte le sue estrinsecazioni, fin da piccolo rimane affascinato del mondo dei robottoni anni ‘70/’80; purtroppo l’adorata madre decide arbitrariamente un bel giorno di regalare tutti gli adorati balocchi senza nulla comunicare…gran bel trauma davvero!
Crescendo la passione sconfina anche nel mondo dei Supereroi dei Comics e quello dei cartoni animati americani.
Grande lettore dei fumetti tutti fino ai 18 anni, quando si allontana da questo mondo per dedicarsi agli studi universitari.
Come si sa, però, le grandi passioni ritornano sempre; infatti dai 26 anni in poi torna ad essere un collezionista di Myth Cloth, di Chogokin e di MasterPiece dei Transformers (grazie anche ai suoi numerosi viaggi in Giappone), ma anche di model kit dei Gundam.
Negli ultimi anni si dedica al collezionismo di statue in scala 1:4 ed 1:3 nel quale ricerca la perfezione nelle forme, pur non abbandonando i modelli dei tanto amati robottoni dell’infanzia.